Steve Hackett, il “viaggiatore”, tra magie acustiche e malinconie creative
Da Piazza della Loggia a Brescia, sotto il palco del suo Trio acustico, parte un viaggio personalissimo intorno all’artista e all’uomo Steve Hackett.
Di Giorgio Bellocci
Frammenti di storia (pt.1)…”ma perchè farlo con Sting e non con me?” si sarà forse chiesto Steve Hackett, raggiunto nel pieno del suo tour italiano acustico dalla notizia che per certi versi sconvolge ogni dogma del “Peter Gabriel-pensiero” (e dei suoi follower): in tour statunitense con Sting, articolatosi tra giugno e luglio, l’ex voce dei Genesis ha rotto un tabù storico intonando Dancing with the Moonlit Knight da Selling England by the Pound!
Per la cronaca bisogna risalire alle versioni di Back in N.Y. City e di The Lamb Lies Down on Broadway del suo primo tour come solista (1976!) per uno sporadico tuffo nostalgico di Peter nel passato. O al massimo nella straordinaria reunion di Milton Keynes nel 1982 nata come iniziativa dei Genesis superstiti per sostenere il vecchio amico nel lodevole progetto del festival multietnico Womad. La possibile riflessione di Steve, colui che negli ultimi anni tra tour e dischi tiene altissimo il nome della band che lo lanciò, potrebbe avere avuto anche una coda: “solo l’introduzione di Dancing e solo come apripista per Message in the Bottle dei Police….peccato!”. Chissà cosa avrebbe dato il magnifico chitarrista classe ’50 per vedere in studio con lui lo “sciamano” Peter nella rilettura del brano inserita in Genesis Revisited II (nell’occasione dignitosamente interpretata da Francis Dunnery)…
Frammenti di storia (pt.2)…21 luglio, Piazza della Loggia, Brescia. Tra il pubblico adunatosi nella bellissima piazza – in prevalenza fan della prima ora con figli al seguito – si sprecano i ricordi su Steve. Un pacioso cinquantenne racconta di avergli fatto da guida turistica a metà degli anni ’90, prima di un altro concerto bresciano: si ricorda di un appassionato di storia, curioso su ogni minimo dettaglio dei castelli visitati e delle floride colline circostanti. E’ dunque probabile che Steve sappia tutto della tragica storia della piazza che lo ha ospitato, ferita a morte dall’attentato del 1974. Era l’anno del tour di Selling England by the Pound, e della produzione di The Lamb Lies Down on Broadway. Difficile pensare a due cose più distanti come l’incanto del prog-rock di quegli anni e l’orrore delle stragi di stato…
Sul palco con lui il talentuoso Roger King al piano e tastiere (imprescindibile in ogni progetto di Steve) e Rob Townsend ai fiati (a sostituire John Hackett, già protagonista di altri tour “non elettrici” al fianco del fratello). Dietro le quinte Jo Lehmann, terza moglie di Steve e Deus ex Machina come manager di questa dinamica fase della carriera del nostro.
Che al solito ama spiazzare i fan! Dopo gli acclamati tour con le rivisitazioni della “golden age” degli anni 70, le previsioni erano per una scaletta ricca di brani dei Genesis; ovviamente compatibili con la perfomance “a tre” come già accaduto in passato. Ebbene, dopo l’iniziale Horizons si sono sentiti solo piccoli frammenti da Blood on the Rooftops, Supper’s Ready e Hairless Heart. E giusto la magnifica After the Ordeal nella sua interezza.
Detto di passaggi “ostici” ispirati a Bach e alla musica classica (che gode di uno spazio peculiare nella discografia del chitarrista), le perle sono arrivate dalla sua carriera solista: tra acclamati “evergreen“ (Ace of Wands, Jacuzzi) e sorprendenti “ripescaggi” (la suggestiva The Red Flower of Tachai, e l’intro di Imagining composta per i GTR). Ma a simboleggiare una sottile vena malinconica, accentuata dalla dimensione acustica, ecco farsi largo verso la fine del concerto la sontuosa Hands of the Priestess (da Voyage of the Acolyte): brividi percorrono una piazza ipnotizzata da armonie che non possono essere descritte con le parole e che realmente rimangono il “dono eterno” che Steve ha fatto a chi pensa che la musica sia una “cosa” dannatamente seria.
Malinconia “creativa” si diceva, accentuata da dediche a persone che fanno parte della memoria (la madre, il nonno). Un inedito per Steve, che forse rappresenta qualcosa di più di un privilegio da pop-star (inteso come “palcoscenico” per le emozioni). Senza dimenticare che nel 2014 è scomparsa la prima moglie (la madre del figlio Oliver, oggi quarantenne), e che da poco si è chiusa una dura battaglia legale con la pittrice brasiliana Kim Poor, la compagna di una vita dal matrimonio del 1981 fino alla separazione del 2010 (nota per le bellissime copertine di Spectral Mornings e Defector, tra le altre).
La sensazione che pervade il devoto fan che scrive queste righe è che l'”artista” sia in uno stato di grazia straordinario, con tanto di beffe all’età anagrafica. L'”uomo” sembra invece in una condizione di riflessione dopo quasi cinque anni consecutivi passati in tour senza staccare: l’altra faccia della medaglia della presenza di una intraprendente e giovane moglie-manager. Ecco affiorare i languidi ricordi di chi non c’è più, che stimolano il desiderio di rinchiudersi per un po’ in una dimensione intima. Magari gustandosi quella “tazza di tè” pomeridiana, così british, iconizzata in Blood on the Rooftops. Osservando il “bello” e il “brutto” della vita che scorre…
Giorgio Bellocci