Genesis in mostra a Cremona. Abbiamo intervistato gli studenti del corso di Storia della Fotografia del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia, tra gli organizzatori di “C’era un ragazzo… Giovani e rock in Italia 1965-1973″, che sarà inaugurata sabato 17 marzo.
By D.B.
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“C’era un ragazzo… Giovani e rock in Italia 1965-1973” è il titolo della mostra che sabato 17 marzo alle ore 18.00 viene inaugurata presso la sede dell’Associazione A.D.A.F.A. – AMICI DELL’ARTE di via Palestro 32 a Cremona.
La mostra sarà incentrata sull’arrivo dei gruppi rock in Italia tra il 1965 e il 1973, concentrandosi in particolare su Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin, Pink Floyd, Jimi Hendrix e Genesis.
Per quanto riguarda i Genesis, prevede documenti dai loro tour in Italia nel periodo contemplato dal titolo:
Il primo, quello del Nursery Cryme Tour del 1972, che si svolse in aprile – GUARDA LO SPECIALE DI HORIZONS RADIO – e in agosto – GUARDA LO SPECIALE DI HORIZONS RADIO.
Quello successivo nel Foxtrot Tour del 1973 – GUARDA LO SPECIALE DI HORIZONS RADIO.
L’attenzione della ricerca è stata posta sul pubblico giovanile che per la prima volta assume un ruolo di rilievo nella comunicazione mediatica svolta attorno ai concerti di tali band.
Essenziale e interessantissimo quindi il punto di vista degli studenti che hanno organizzato l’evento.
Come nasce il progetto?
Verso la conclusione del corso di Storia della Fotografia, tenuto dalla Prof.ssa Elena Mosconi nel nostro dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia, che si trova a Cremona, venne alla luce l’idea di provare a organizzare una mostra. Alcuni di noi studenti furono subito entusiasti e fu chiaro fin dal principio che questo progetto sarebbe potuto essere un ottimo ponte tra i nostri studi musicologici e lo studio della storia e dell’estetica fotografica che stavamo affrontando. Cercammo dunque un campo di unione, che immediatamente trovammo nell’arrivo del rock internazionale in Italia, nel suo impatto sui giovani e in come tutto questo era riportato dai media.
Perché questo arco temporale (1965-1973)?
Una volta definito il campo in cui avremmo voluto muoverci, la domanda principale che ci siamo posti è stata: quando e come il rock internazionale è arrivato in Italia? L’anno di avvio di questo processo non fu difficile da individuare nel 1965, nel cui giugno ebbe luogo l’unica tournée italiana dei Beatles. Nelle nostre ricerche venne subito a galla che prima di quell’anno vi era una sorta di censura nei confronti dei concerti rock e, quando se ne parlava, lo si faceva in termini di denuncia nei confronti delle “follie” dei fan e di quelli che recensori abituati ad altri ambienti sonori non tardavano a definire come rumori e nient’altro. Quei concerti del quartetto di Liverpool cambiarono le carte in tavola: se da un lato qualcuno faticava ancora “a mandar giù la pillola”, con titoli come quello di Epoca “Sono uscito vivo dall’inferno dei Beatles”, dall’altro lato molti si erano accorti della straordinaria rivoluzione musicale e mediatica in atto. Tutto questo porta di conseguenza all’evoluzione del concetto di “fan” e di “live”, che nella nostra ricerca abbiamo cercato di comprendere attraverso i concerti dei Rolling Stones del ’67 e del ’70, di Jimi Hendrix nel ’68, con il “non pubblico” dei Pink Floyd a Pompei nel ’71, i disastri del Vigorelli al concerto dei Led Zeppelin del luglio ’71, fino ad arrivare alla prima tournée italiana dei Genesis del ’72, e soprattutto alla seconda, del ’73. I concerti in cui Peter Gabriel ha cominciato a travestirsi segnano, per noi, il termine della ricezione italiana del rock internazionale: non solo, ormai, un certo tipo di pubblico emancipato era stato assimilato dalla società, anche attraverso i moti giovanili del ’68, ma anche il palcoscenico era del tutto emancipato e non presentava più quattro giovani in giacca e cravatta, ma qualcosa che si avvicinava quasi alla scenografia di un musical. Il dado era ormai tratto, non si poteva più tornare indietro.
Cosa sapete voi di quegli anni?
Soprattutto ciò che ci è stato raccontato da nonni, zii, professori. Siamo studenti e siamo consapevoli di ciò che ha comportato quel periodo per noi, soprattutto nel ’68. La ricerca che abbiamo fatto sulle riviste generaliste, in particolare Epoca, l’Europeo e Il Tempo, ci ha dato la possibilità di comprendere ancora meglio il travaglio dei giovani, che lentamente tra il ’65 e il ’70 si sono fatti largo anche all’interno delle notizie di questo genere di stampa. La musica è stata parte essenziale. Basti pensare che da poche notizie sparse del ’65, si passa a una sorta di protagonismo nel ’70. Oltre a questo, ci siamo trovati di fronte una rappresentazione della politica, della storia contemporanea, della cultura totalmente differente rispetto a quanto siamo abituati. Nonostante ci sia stato subito chiaro come la società fosse già avanzata mediaticamente, con una rappresentazione della donna già emancipata e campagne pubblicitarie complesse e talvolta avanguardistiche, ci siamo resi conto immediatamente che tipo di rottura significassero le grida e gli svenimenti ai concerti dei Beatles o le maschere di Peter Gabriel.
Cosa amate voi di quella musica?
Il nostro gruppo è convinto nel vedere in questa musica un valore culturale importante che prescinde il solo contesto musicale. Il punto di rottura incarnato da questa musica, non solo nel modo di porsi, quanto nel modo di condurre la composizione e l’esecuzione stessa, è indubbio e ha affascinato altri contesti musicali e artistici. Pensiamo per esempio a Michelangelo Antonioni, che dopo l’ascolto di Ummagumma dei Pink Floyd decise di contattarli per affidare loro la colonna sonora di Zabriskie Point. Un contesto artistico di questo genere, in cui l’uno confluisce nell’altro, non può che attrarre l’interesse di noi giovani studenti di musicologia.
Perché, tra gli altri, avete scelto i Genesis?
Come vi dicevamo, sono per la nostra ricerca un gruppo chiave. Non soltanto con loro la musica si passa di livello, entrando in un ambito di raffinata ricerca come già avevamo riscontrato con Led Zeppelin e Pink Floyd, ma l’impatto dei loro concerti in Italia fu qualcosa che per molto tempo è stato sottovalutato. Quando, nel corso di una ricerca video, ci siamo trovati di fronte un servizio della Rai girato a Torino nel ’74 (vedi qui sotto) siamo rimasti a dir poco stupiti. Questo genere di “onore” era stato rare volte concesso a un gruppo rock, come per esempio la celebre intervista di Gianni Bisiach ai Beatles nel ’63, quando ancora non erano arrivati in Italia. L’impatto sulla cultura musicale, e non solo, dei Genesis in Italia non poteva essere ignorato.
Quale tipo di materiale avete selezionato per la mostra (in particolare per quanto riguarda i Genesis)?
La nostra ricerca è partita dalle riviste generaliste di cui vi parlavo, per poi spostarsi nell’ambito di archivi fotografici. In particolare, l’Archivio Pais di Bologna, l’Archivio Farabola di Vaiano Cremasco, l’Archivio Leoni di Genova e l’archivio dello Csac di Parma. Per alcuni gruppi ci siamo rivolti ai fan club, in particolare all’associazione culturale jimihendrixitalia.blogspot e ai Lunatics, per quanto riguarda i Pink Floyd. Per i Genesis la nostra fonte principale è stata Mino Profumo, di cui abbiamo letto e ammirato il libro dedicato alla tournée italiana. La sua disponibilità e partecipazione è stata ammirevole. Per quanto concerne invece i Genesis dipinti dalle riviste italiane, come Ciao 2001, ci siamo rivolti a Mario Giammetti. Il punto centrale della mostra sono le fotografie, ma un’ampia parte sarà dedicata agli LP originali, forniti da collezionisti e in parte ricavati dal fondo Pangolini di proprietà dell’Università di Pavia.
Conoscevate già i Genesis prima delle ricerche per questa mostra?
Il nostro gruppo è formato da studenti di differente formazione musicale. Questo progetto ha dato la possibilità a tutti noi di approfondire la conoscenza di gruppi che conoscevamo di nome, o solo per qualche canzone. Non si può dire che fossimo esperti dei Genesis, in quanto la nostra generazione è in qualche modo più agevolata alla conoscenza di altri gruppi “storici”, come i Beatles. Proprio per questo motivo siamo ancor più contenti di come si è sviluppata la nostra ricerca, avendoci fatto approfondire un gruppo così innovativo e interessante.
Come giudicate, dal punto di vista dell’impatto “mediatico”, i costumi di Peter Gabriel sul palco nel 1973?
Sono un punto di svolta sensazionale. Se può sembrare strano, del tutto superfluo, talvolta disturbante, questo tipo di immagine stravagante che si muove sul palcoscenico, non si può ignorare l’impatto che ha avuto. Non soltanto sul pubblico, che veniva coinvolto in un esperienza multimediale, avvicinandosi a un’esperienza quasi da musical, ma sugli artisti che vennero dopo di lui. Dieci anni più tardi, chi trovava strani o discuteva i trucchi di David Bowie o i travestimenti di Klaus Nomi? Non si può dire che ci sia influenza diretta o che Peter Gabriel fosse l’unico, ma si può certo dire che quella tournée fu punto di rottura e di evoluzione anche a causa dei costumi.
Cosa è ancora presente della musica di quegli anni nelle sonorità di oggi?
La storia della musica ci insegna che in fondo questa è un’arte densamente stratificata, che non finisce mai di influenzare se stessa e ciò che vi sta intorno. Gli anni Sessanta e Settanta sono stati la culla di un mondo sensazionale, che non può considerarsi chiuso in se stesso. Il continuo sviluppo, l’interesse intorno a quest’area, la ripresa in altre forme d’arte non sono gli unici esempi che ce lo dimostrano. Nonostante oggi gli ambienti sonori siano talvolta fortemente contrastanti con il rock di quel tempo e la musica cosiddetta più popolare abbia preso altre vie di sviluppo, non si può ignorare quella radice, senza cui molte cose non sarebbero uguali. Inoltre, per considerare il forte impatto che quel periodo ha avuto e continua ad avere su di noi, pensiamo alla nostra mostra. Se non amassimo e non fossimo attratti da quelle rock band, avremmo forse speso la nostra ricerca su di loro, dedicandoci una mostra? L’abbiamo fatto, e siamo fieri e felici di averlo fatto.
Ecco gli appuntamenti:
Orario d’apertura: tutti i pomeriggi dalle 17.00 alle 19.00, ad eccezione degli eventi di giorno 22, 29 e 5 aprile dove la sede chiuderà eccezionalmente alle 20. Dal 31 Marzo al 2 Aprile ed inoltre tutti i lunedì la sede rimarrà chiusa.
La mostra è a ingresso libero.
by D.B.
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