Il 13 dicembre 1972, i Genesis sbarcano per la prima volta negli USA, con un concerto natalizio alla Philharmonic Hall di New York. Ecco il racconto di quei giorni.
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By D.B.
Il Foxtrot Tour parte il 9 settembre 1972 e tocca il Regno Unito, l’Europa e il Nord America.
Dopo aver toccato la Francia, l’Inghilterra, la Scozia, l’Eire e il Galles, i Genesis sbarcano per la prima volta negli Stati Uniti, per un concerto natalizio, pieno di problemi, alla Philharmonic Hall di New York il 13 dicembre 1972, preceduto da un live per pochi studenti alla Brandeis University di Boston due giorni prima. Phil Collins, nella sua autobiografia “No, non sono ancora morto”, Mondadori, racconta così quei giorni:
“Appena arrivati scopriamo che il nostro manager americano, (…) ci ha organizzato un concerto alla Brandeis University vicino a Boston, nel Massachusetts. All’ora di pranzo. Così la nostra prima esibizione in terra americana è una delusione atroce e sbrigativa. Agli studenti del New England il rock inglese, o quanto meno il nostro, importa ancora meno di quello che credevamo, e sembrano più interessati ai loro studi o ai loro panini. Questo non depone a favore delle buone sorti dei Genesis negli Stati Uniti d’America.
(…) Avvicinandoci per la prima volta a New York, siamo sopraffatti dall’enormità della metropoli che si abbatte su un gruppo già abbacchiato per l’insuccesso di Boston. Ma entrando al tramonto dal George Washington Bridge, lo skyline di Manhattan si accende a poco a poco, illuminato da milioni di luci. New York! L’abbiamo vista nei film, e ora siamo qui. (…)
E poi andiamo alla Philharmonic Hall per fare le prove e scoprire un grossissimo problema: il sistema elettrico diverso in America implica che gli strumenti elettromeccanici vadano a 60 hertz e non a 50 come in Inghilterra. Questo significa che il Mellotron (un nuovo giocattolino che ci siamo comprati dai King Crimson) e l’organo Hammond sono fuori tonalità rispetto alle chitarre.”
Scrive Mario Giammetti in Genesis. Il fiume del costante cambiamento, Editori Riuniti:
“Purtroppo si incontrano parecchi problemi: il direttore della Philharmonic Orchestra, Leonard Bernstein, sta provando con tutti gli elementi e tiene occupata la sala più a lungo del previsto, impedendo ai Genesis di fare un soundcheck decente. Inoltre gli inconvenienti tecnici, comprese le differenze di voltaggio tra Europa e Stati Uniti, non danno tregua neanche stavolta al punto che persino il tranquillo Mike arriva a scaraventare il basso per terra al rientro nei camerini. Poco prima del concerto infatti si rompe un amplificatore, sostituito con un altro noleggiato in fretta e furia che però emetterà un fastidioso ronzio per tutto il concerto, rovinando i passaggi più delicati.”
Ascolta i Genesis live alla Philharmonic Hall di New York:
Ancora Phil Collins:
“Troviamo una soluzione improvvisata e, quella sera, facciamo il concerto alla meno peggio. Sembra che il pubblico non noti niente di strano, ma nonostante noi cinque siamo sincronizzati in modo telepatico, per i Genesis il concerto è un macello. Scendiamo dal palco, prendiamo l’ascensore fino ai camerini e l’aria è verde di rabbia. Persino anni dopo, solo nominare quel primo concerto a New York ci mette tutti in agitazione e fa tornare alla mente ricordi orribili.”
“Il basso Rickenbacker che suonavo emetteva un orrendo ronzio: non sentii una nota per tutta la serata. Anche gli altri non sentivano nulla e la sensazione era che stessimo buttando via un’occasione. (…) Subito dopo lo show scagliai a terra il mio basso in un attacco d’ira, imprecando e maledicendo.”
Una prima tappa negli Stati Uniti non particolarmente riuscita, quindi, forse per i tempi non maturi e la notorietà della band ancora scarsa oltreoceano, nonostante la costosa campagna promozionale organizzata dalla filiale USA della Charisma, la Buddah Records. Sicuramente hanno avuto grande importanza i problemi tecnici. Ma, come ricorda ancora Giammetti:
“(…) l’accoglienza sia di pubblico sia di critica sarà invece assai favorevole (anche per il gruppo di supporto String Driven Thing), pur considerando la mossa americana forse prematura in quanto i Genesis sono ancora relativamente conosciuti in Inghilterra e, Italia a parte, hanno fatto sporadiche apparizioni solo in Francia e Belgio. «I nostri tecnici sono potuti entrare nella Hall solo dopo le quattro, abbiamo avuto dei guai con l’amplificazione del basso di Mike e a un certo punto la mia voce ha iniziato a cedere. Sono tornato a casa con l’influenza e il concerto è stato uno dei più balordi che abbiamo mai fatto. Al termine ero molto depresso ma ora pensandoci bene sono contento perché se siamo piaciuti in quelle condizioni chissà cosa succederà quando saremo in forma la prossima volta.» (Peter Gabriel, Ciao 2001 14/7/73, «Recentissime da Londra», Armando Gallo).”
Peter ha ragione. Perché quella nordamericana è un’esperienza che viene ripetuta dal 3 marzo, con alcune date in USA e Canada, stavolta con maggior successo. Ascolta il primo concerto:
https://www.youtube.com/watch?v=nSpnlcoIKbk&t=2s
L’album Genesis Live è stato registrato nel febbraio 1973 durante la parte inglese del tour.
Iniziato il 9 settembre 1972, appunto, il tour finisce il 26 agosto 1973 al Festival di Reading, UK. ASCOLTA L’ESIBIZIONE DEI GENESIS:
Francesco Gazzara Plays Genesis: “Here It Comes Again, il seguito di “Play Me My Song”, per IRMA Records. Compralo qui, ascoltalo e leggi l’INTERVISTA a Francesco Gazzara.
H.R.: In Play Me My Song e in questo nuovo disco Here It Comes Again (suo ideale seguito, anche nel titolo) hai riarrangiato a modo tuo i brani dei Genesis. Con quale criterio? Cosa “tradisci” e cosa conservi?
Francesco Gazzara: Non esiste un criterio deciso a priori, l’unica base di partenza è la chiave con cui decido di interpretare ogni singola canzone dei Genesis al pianoforte. Si tratta di un processo lento, in quanto mi interessa restituire molte delle sfaccettature presenti negli originali, cercando il compromesso migliore nell’esecuzione a due mani. Quindi non ci sono soltanto le parti delle tastiere ma affiorano spesso anche quelle degli altri strumenti, oltre alla melodia della voce. Quindi sono costretto a tradire qualcosa per conservarne altre, è un lungo processo di scelta finalizzato esclusivamente al piacere dell’ascolto (e anche del suonare) e alla resa globale del brano. Dopo di che viene tutto il resto, decidere quali strumenti faranno parte dell’arrangiamento, e anche lì alcune cose vengono in aiuto di eventuali “tradimenti” rispetto all’originale nella parte pianistica, o viceversa si evidenziano parti che nella versione originale erano più nascoste.
La scelta degli strumenti orchestrali in aggiunta al tuo pianoforte a quale necessità corrispondono?
In “Play Me My Song” la scelta era essenzialmente la stessa che ho appena descritto. In “Here It Comes Again” la novità è che c’è quasi sempre un solo strumento solista in aggiunta al pianoforte e qui la scelta è spesso ispirata sia dal tipo di strumento che dal valore del musicista ospite. Visto che si tratta di strumentisti validi con cui ho spesso collaborato in altri progetti, non è stato difficile scegliere quale brano affidare a ogni singolo intervento.
Con quale criterio li hai abbinati a un brano?
Il criterio è stato anche quello di seguire abbastanza l’impatto dinamico e ritmico del brano originale. Ad esempio l’unica comparsa di una percussione che guida il ritmo del brano dall’inizio alla fine è quella del cajon su “I Know What I Like”, intrecciata con la parte originale di basso elettrico. Oppure la presenza del flauto su “The Musical Box” e “Supper’s Ready”, fondamentale nella resa sonora “pastorale” di questi classici. Infine la chitarra elettrica su “The Carpet Crawlers”, che non è il brano più scontato sul quale riarrangiare uno strumento della versione originale, visto che non ci sono assoli in piena evidenza. Eppure è stata l’occasione per riprodurre un sound, grazie anche a spunti frippiani e hackettiani che David Giacomini, il chitarrista ospite, ha colto al volo.
In questo disco hai anche aggiunto Hammond, Mellotron, Rhodes, ecc.. perché?
Da una parte sono gli strumenti che suono (e mantengo, vista l’età) da anni, i cui timbri sono in gran parte responsabili della mia passione di lunga data per il progressive e non solo. Dall’altra ho deciso di suonarli tutti – compreso il piano elettrico Rhodes che Tony Banks non ha quasi mai usato nei dischi dei Genesis pur essendo un altro strumento classico del prog (basti pensare ai Soft Machine) – perché nel disco precedente comparivano solo nelle bonus track, accanto all’onnipresente pianoforte.
E un pianoforte molto antico. Che suono volevi ottenere con esso?
Il Bechstein a coda che ho utilizzato risale al 1878 ma ovviamente è stato completamente restaurato nella sua parte meccanica. Sulla carta non avrebbe avuto speranza nel confronto con lo strumento che usai su “Play Me My Song” – il Bosendorfer Grand Coda della Sala Assunta della Radio Vaticana – ma nella pratica ha rivelato un suono assai brillante e soprattutto nei brani più ritmici e dinamici ha impresso la sua anima. Ce ne siamo accorti soprattutto nel missaggio, nel modo in cui emergeva tra gli altri strumenti. Il merito è anche di Fabio Sigismondi che l’ha restaurato con grande cura e ne ha permesso l’utilizzo per questo progetto.
I brani che esegui nei due dischi comprendono fino all’album Duke. Perché?
Il motivo è autobiografico se vogliamo. Io ho scoperto i Genesis a 13 anni proprio con l’uscita di Duke nel 1980 e in pochi mesi risalii velocemente, tra vinile, singoli e cassette, a tutta la loro discografia antecedente. Quindi questi due tributi per me sono legati al loro repertorio anni ’70 non tanto perché si tratta di progressive “prima e dopo Gabriel” ma soprattutto perché riflettono il periodo in cui dentro di me si è formata l’indelebile futura ed eterna passione per i Genesis.
C’è una versione di Supper’s Ready in trascrizione pianistica integrale. Ci racconti le difficoltà e le soddisfazioni dell’esecuzione?
Premetto che prima di decidere di affrontare questo capolavoro assoluto del rock sono andato a sentire ovunque (youtube compreso) se esistessero altre trascrizioni di solo pianoforte. In realtà ho trovato solo un paio di esecuzioni non trascritte, solo eseguite dal vivo insomma, entrambe spezzettate o suonate in maniera molto accademica, senza tenere presente che si sta suonando un brano rock in cui alla batteria c’è un certo Phil Collins, per fare un solo esempio. L’unica ascoltabile era un’esecuzione con due pianoforti, ma di minor interesse per me in quanto ritengo più originale riarrangiare le parti dei cinque strumenti originali per sole due mani. O meglio, se la rendi bene con un buon compromesso rispettoso tra l’innovazione e il cambiamento, che senso a suonarla a quattro mani per raggiungere lo stesso rislutato? Tornando alle difficoltà, visto che in “Here It Comes Again” la mia versione di “Supper’s Ready” si avvale anche di un violoncello, del flauto, delle chitarre acustiche e di parecchie tastiere analogiche, il problema è stato registrare tutti questi strumenti in sovraincisione col pianoforte, che a sua volta avevo inciso senza un click. L’esperienza di “Play Me My Song” è servita molto in questo senso, con l’attento studio dei sincronismi fatto su quel disco. Circa le soddisfazioni, beh, “Supper’s Ready” è così ricca di parti intricate e spunti incredibili, che già quando la completi al solo pianoforte ti senti un po’ come se avessi completato un’integrale di un compositore classico. La stessa sensazione che si ha quando finisce “Apocalypse in 9/8” e si arriva all’avvolgente finale di “As Sure As Eggs Is Eggs”…
In particolare, quale periodo dei Genesis ti interessa musicalmente di più?
Indubbiamente questo si può evincere anche dalle mie risposte a dalle tracklist dei due dischi dedicati ai Genesis, eppure ti confesso che avendo assimilato così tanta musica scritta anche dopo il 1980 da Banks, Collins e Rutherford ci sono periodi anche dopo “Duke” che mi piacerebbe rivistare in futuro. Sentire una loro composizione degli anni seguenti è comunque come ascoltare un parente che ti parla, c’è un’indubbia familiarità. Tra l’altro se prendi alcuni brani dei dischi da “Abacab” in poi e li riarrangi al pianoforte, capisci ancora di più che erano passati solo pochi anni…
Recentemente con 2084 hai anche reso omaggio all’album 1984 di Anthony Phillips. Cosa ti ha interessato di quel disco così particolare di Ant?
Al tempo mi impressionò per la sua ricchezza di sonorità fantascientifiche e ritmiche mai uguali a se stesse. Dopo anni di 12 corde e atmosfere pastorali un disco così con quelle drum machine e quei synth fu una rivelazione per me. Tanti anni dopo ho letto il romanzo “2084: La Fine Del Mondo” dello scrittore francoalgerino Boualem Sansal – una specie di remake di “1984” di Orwell trasportato in una società distopica controllata da una dittatura islamica – e la musica di Ant Phillips ha risuonato nelle mie orecchie durante tutta la lettura. Da qui l’idea di fare una soundtrack immaginaria personalizzata del libro, mantenendo l’impianto sonoro del disco di Phillips ma scrivendo della musica totalmente nuova, niente cover. Lo stesso Ant mi ha rivelato di aver gradito l’album anche per il fatto che non era l’ennesimo disco di rifacimenti.
Hai legato l’uscita del disco (9 gennaio 2020) alla data delle prime registrazioni dei Genesis alla BBC per i Jackson Tapes (9 gennaio 1970). A parte l’anniversario dei 50 anni, c’è un motivo particolare?
In parte volevo seguire la tradizione degli anniversari, visto che nel 2014 “Play Me My Song” uscì lo stesso giorno (45 anni dopo) del primo concerto ufficiale dei Genesis alla Brunel University nel novembre del 1971. Però non c’è solo un motivo diciamo così scaramantico. Durante le registrazioni di “Here It Comes Again”, quando i numerosi overdub e le scelte difficili di arrangiamento facevano presagire una lunga gestazione dell’album, mi sono immedesimato in quei primi esperimenti in studio dei Genesis ancora molto giovani. Nei Jackson Tapes c’era molto materiale che poi confluì negli album storici del gruppo e in un certo senso adesso, per me, impegnato in un’operazione inversa di scarnificazione all’osso della loro musica, registrare questo disco è stato come viaggiare nel tempo.
Oltre a suonarli, i Genesis, li analizzi in vari articoli (per esempio per il Genesis Magazine Dusk). Come cambia il tuo giudizio nei loro confronti quando non li interpreti?
L’analisi non prescinde da una grande passione di fondo. E’ questa che permette di “fare le pulci” alla loro scrittura e alle loro eescuzioni o registrazioni. Anche per arrivare alla conclusione che i Genesis sono inarrivabili, è inutile rieseguirli al 100% di fedeltà musicale se poi manca il brivido della presenza scenica dell’originale. Tanto di cappello a chi li ricostruisce anche scenicamente intendiamoci, ma a me interessa più lo studio e l’analisi della partitura. Tony Banks ha sempre dichiarato che all’inizio della loro carriera i Genesis volevano solo essere dei compositori e non degli esecutori tanto meno musicisti rock. Questa è un’ottica importante per chi vuole analizzare a fondo non solo le note che hanno inciso ma anche quelle che hanno semplicemente “sfiorato”, per risalire alle loro influenze e ascolti dell’epoca. Un collega musicista ha detto che la mia operazione sul loro materiale gli ricorda ciò che Glenn Gould fece sul repertorio di Bach, le note originali in gran parte al loro posto ma con un’infinita possibilità di variazioni ritmiche, sospensioni, rubati ecc. al fine di rinnovare l’esperienza spirituale e fisica con un corpus musicale di secoli prima. A parte l’esagerazione e il confronto improponibile per quanto mi riguarda, rimane la volontà di fornire a chi nel futuro ascolterà i Genesis anche una chiave interpretativa diversa da parte di un loro contemporaneo.
Il progetto grafico del disco è un ulteriore omaggio…
Come è già stato per “Play Me My Song” anche qui l’acquerello originale dell’artista Ugo Micheli fornisce al tempo stesso una nuova interpretazione e soprattutto un omaggio ai lavori originali per le copertine del gruppo. In maniera parallela a ciò che ho fatto con la musica, il disegno riparte da zero senza cloni digitali ma con un tratto che magicamente ripiega su alcuni particolari al tempo inventati da illustratori geniali come Paul Whitehead, Colin Elgie e Lionel Koechlin.
Si può ricevere il disco in anteprima per Natale. Come?
Il CD digipack a tre ante è acquistabile sul seguente link: www.gazzaraplaysgenesis.com/shop.htm In questo modo si riceve una copia con dedica entro Natale, poi dal 9 gennaio l’album sarà ufficialmente in distribuzione ma le prime stampe in digipack CD saranno probabilmente già finite. Quindi il consiglio è di fare in fretta.
Hai previsto dei concerti per eseguire i brani dei due dischi?
In realtà già in alcune delle ultime performance di Gazzara Plays Genesis avevo affrontato parte del repertorio di “Here It Comes Again”. Ora il materiale è sufficiente per un concerto di quasi due ore completamente dedicato alla musica dei Genesis, con pianoforte acustico e proiezioni video di sfondo. Con un concerto più lungo cambiano però anche i luoghi adatti per eseguirlo, in alcuni ad esempio è necessario un intervallo tra i due tempi e in altri al contrario si deve ridurre di molto la durata. Ecco perché ancora non ci sono date fissate dopo l’uscita del nuovo disco, anche se un paio di eventi sono già in lavorazione, uno in Italia e l’altro in Germania. A presto tutte le news su www.gazzaraplaysgenesis.com
Ringraziamo Francesco Gazzara per la sua disponibilità e, oltre ad acquistare al link sopra il nuovo disco, vi invitiamo anche a comprare su Amazon gli album citati da Gazzara nell’intervista:
Mario Giammetti racconta a Horizons Radio i temi del nuovo numero di Dusk,il Genesis Magazine di cui è fondatore e direttore eche, come al solito, ospita approfondimenti, interviste esclusive e servizi su attualità e novità del mondo Genesis.
“Il numero 93 di Dusk è principalmente focalizzato su Anthony Phillips – racconta a Horizons Radio Mario Giammetti -, che ha appena pubblicato il suo nuovo album di studio. E non è una notizia da poco, perché in realtà, assorbito dalla musica library e dallo scrupoloso lavoro di rimasterizzazioni del suo back catalogue degli ultimi anni, pubblicate dalla sua nuova etichetta Esoteric (gruppo Cherry Red), Ant mancava l’appuntamento con un nuovo disco di inediti dal 2012 ma, se parliamo di un composizioni realmente nuove, bisogna andare indietro addirittura al 2005. Strings Of Light è un doppio album splendido, con il miglior Phillips possibile. Lucio Lazzaruolo lo ha analizzato in maniera certosina e io ne ho parlato a lungo con Anthony in un’intervista telefonica.”
“Intervista anche a Tony Banks, per commentare il suo Banks Vaults, cofanetto che ripercorre la sua intera carriera solista rock. Per l’occasione – aggiunge Giammetti – abbiamo realizzato uno speciale dove ciascun collaboratore ha recensito un album, mettendo insieme, di fatto, una retrospettiva sul percorso artistico del tastierista.”
“Si parla anche di Ray Wilson (il suo Best Of con due inediti Upon My Life) e naturalmente è immancabile, anche su questo numero, un ampio spazio dedicato a Steve Hackett. In questa circostanza ci occupiamo del live con l’orchestra filmato a Londra lo scorso anno (Genesis Revisited Band & Orchestra: Live At The Royal Festival Hall) e del nuovo album di studio con i Djabe, Back To Sardinia, che uscirà tra qualche giorno.”
“Sono poi lieto di confermare la scelta del colore per l’intero numero, grazie alla generosa partecipazione di Stefano Tucciarelli. Questa volta, poi, la tipografia ha cambiato stamperia, ottenendo un risultato più preciso in fase di rifilatura e una migliore definizione delle fotografie. Speriamo, con passi lenti ma costanti e senza mai andare oltre le nostre possibilità, di offrire ai nostri sostenitori un prodotto sempre più bello da vedersi, oltre che avvincente da leggersi.”
“Appuntamento quindi alla primavera 2020 col prossimo numero – conclude Giammetti -, col quale inaugureremo il trentesimo anno di attività di Dusk.”
Non resta quindi che attendere il nuovo numero di Dusk, come sempre ricchissimo di materiale Genesis & Co.
Il 27 novembre 1952 nasce il chitarrista e bassista americano Daryl Mark Stuermer, in tour con i Genesis dal 1978, con Phil Collins dal 1981 e presente negli album solisti di Phil, Mike Rutherford e Tony Banks.
Ecco alcuni video che lo rappresentano:
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Il 20 novembre 1974 parte – finalmente – dagli Stati Uniti, all’Auditorium Theatre di Chicago, il The Lamb Lies Down On Broadway Tour. Ecco perché era stato rimandato.
Il tour doveva partire il 29 ottobre 1974, con un’anteprima per il fan club locale alla City Hall di Newcastle in UK, ma viene posticipato e sette date cancellate. Saltano i due show di Newcastle (l’anteprima e la sera successiva), Manchester, Wembley a Londra, Edimburgo, Bristol e le due date di Birmingham l’11 e 12 novembre. Per quale motivo?
Da una parte c’è la scarsa sintonia con il materiale che ogni elemento della band propone, dall’altra un momento privato poco felice, con la crisi matrimoniale in corso.
Fattori che rendono il chitarrista nervoso. E un episodio è significativo di questo stato d’animo.
Hackett, durante una cena, si ferisce la mano sinistra con i cocci di un bicchiere di vino. Un nervo e un tendine risultano recisi. Uno sfortunato incidente?
Lo stesso Steve ha raccontato in varie interviste che, a una festa, qualcuno ha fatto riferimento alla Sensational Alex Harvey Band, che stava suonando, ritenendo che non sarebbe stata la stessa senza Alex. Subito il suo pensiero è andato ai Genesis e alla possibilità che senza Peter Gabriel potessero essere finiti. E così l’adrenalina, causata dallo stress del momento ha fatto il resto. La mano ha stretto con troppa forza il bicchiere, che si è rotto.
Un episodio che la dice lunga anche sulla tensione all’interno dei Genesis in questo periodo, con Peter Gabriel che, alla fine del tour lascerà il gruppo.
La mano di Steve è quindi fuori uso. Inizia una terapia. Steve ci scherza su, dicendo che l’incidente gli ha fatto assumere una posizione più classica. Ma è addirittura dovuto ricorrere all’elettro-shock per poter tornare a suonare. Una lezione che gli ha dato, racconta lui, la determinazione che ha ancora oggi.
Pochi giorni dopo la partenza del 20, però, il 25 novembre all’Hotel Swingos di Cleveland, poco prima del live della sera, Peter comunica ai compagni la sua decisione di lasciare il gruppo.ASCOLTA QUEL CONCERTO STORICO:
https://youtu.be/PKjdFFxYogI
Decisione che verrà resa pubblica il 16 agosto 1975, quando Gabriel consegna alla stampa una dichiarazione, e formalizzata il 26 agosto, quando i Genesis fanno uscire una dichiarazione ufficiale, per integrare quella di Peter. In questa scrivono che la band è in cerca di un nuovo cantante, che sta componendo un nuovo album e a breve inizierà a inciderlo. Il disco uscirà a Natale e il tour partirà all’inizio dell’anno nuovo.
Maanche la permanenza di Steve Hackett nei Genesis ha ormai i mesi contati.
Giuseppe Scaravilli ripercorre l’irripetibile stagione dei grandi gruppi del rock anni Settanta, tra cui anche i Genesis.
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Con questo volume Giuseppe Scaravilli, leader dei Malibran, ripercorre l’irripetibile stagione del rock anni Settanta, utilizzando l’escamotage narrativo dell’incrocio tra le biografie delle varie band, progressive e non, mettendo insieme una documentazione esaustiva, frutto di decenni di passione, e una scrittura scorrevole e avvincente, ricca di testimonianze dettagliate e di aneddoti interessanti.
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Non mancano i resoconti degli eventi che hanno segnato la musica degli anni Settanta in Italia, dai grandi festival agli scontri per la musica gratis.
A completare il tutto, il volume presenta un inserto fotografico che racconta per immagini quanto si può leggere nel testo, con inedite foto d’epoca – preparate e restaurate per l’occasione – che ritraggono le band mentre sono impegnate sul palco.
Sono trascorsi ormai decenni da tutto questo, ma è rimasta la musica a testimoniare una delle stagioni più creative della nostra storia, una stagione che non è semplicemente alle nostre spalle, ma risuona forte al presente nei sogni, negli ideali e nel desiderio di scoprire cose nuove che animavano i giovani del tempo.
E che ancora ci indicano la via.
Con Led Zeppelin, Black Sabbath, Deep Purple, Genesis, King Crimson, Malibran, Jethro Tull, Banco del Mutuo Soccorso, Van der Graaf Generator, Premiata Forneria Marconi, Area, Pink Floyd, Gentle Giant, Yes, Free, The Who, Traffic, Supertramp, Camel e tanti altri.
Phil Collinsnella suaautobiografia, No, non sono ancora morto, ricorda quei giorni in cui i Genesis compongono l’album. Libertà creativa, afflusso abbondante di idee, lunghezza delle canzoni, libertà di manovra nelle sedute compositive. Sono gli elementi del primo disco della nuova formazione, dal punto di vista di Phil.
Steve Hackett, in Genesis. Il fiume del costante cambiamentodiMario Giammetti, racconta come sia stato lui a spingere la band ad acquistare il mellotron, strumento fondamentale in The Fountain Of Salmacis e nel sound successivo dei Genesis. Disse ai suoi compagni che, se volevano fare un salto di qualità, dovevano assolutamente avere un mellotron, ottenendo così una dimensione orchestrale.
Ecco come viene ricordato nel video tratto dal DVD Inside Genesis:
Mike Rutherford, nel suo libroThe living years, racconta che Nursery Cryme non fu un disco facile da scrivere, forse anche a causa delle nuove dinamiche del gruppo, senza Anthony Phillips e con Steve Hackett e Phil Collins.
I due nuovi arrivati sono protagonisti di For Absent Friends, invece TheMusical Box e The Return Of The Giant Hogweed erano già state composte e, soprattutto la prima, con una forte impronta di Ant. Con Harold The Barrell Peter inaugurava una serie di storie dallo spiccato humor inglese. Harlequin e Seven Stones sono frutto della creatività personale di Mike e Tony (ma sempre con lo “zampino” di Phillips).
In Italia l’album si è piazzato al quarto posto. Il nostro paese, dopo il Belgio, era quello che dava più soddisfazioni ai Genesis, in quei primi anni. Anche la critica li promuove da noi.
Il tour successivo all’uscita vede i Genesis per ben due volte in Italia. Leggi e ascolta gli speciali di Horizons Radio:
Due volumi, quattro gruppi Prog, ma anche tutta la scena rock del periodo fino al 1975. 384 pagine l’uno con molte foto. E’ il nuovo “doppio” lavoro di Max Stèfani. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
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Horizons Radio: Come hai scelto e abbinato le due band e perché?
Max Stèfani: Quattro band per un solo libro veniva con troppe pagine. Mi è venuto naturale abbinare ELP con King Crimson per via di Greg Lake. Meno per Genesis e Jethro Tull, ma dopotutto si parla dello stesso periodo, anche se Anderson ha cominciato prima.
I libri arrivano fino al 1975. Perché?
E’ il loro periodo di maggiore qualità, anche se alcuni sostengono che i Genesis con Collins sono migliori. Questione di gusti. E comunque dal 1975 il genere ha perso la rotta.
Fotografie, tour, interviste, recensioni americane, inglesi, francesi e italiane. Da dove proviene tutto il materiale che hai usato?
Da mie collezioni, contatti nel mondo, amici.. una lunga ricerca.
C’è anche un inserto dei gruppi Prog ‘minori’ del periodo: tedeschi, inglesi, australiani, americani, francesi. Come si legano ai quattro ‘maggiori’?
Volevo dare uno sguardo ai gruppi meno conosciuti, perché molti si sono fermati a quelli che hanno fatto più vendite. Spesso capita che band altrettanto valide, per tutta una serie di ragioni, non abbiamo successo. Ma i fischi, quando si trovano, rimangono.
In che senso questi volumi sono “fatti in casa, genuini”, come li definisci tu? Come hai lavorato a essi?
“Fatti in casa” nel senso per la mia casa editrice. Completa libertà su tutto: testi, foto e copertine, decisione di saltare librerie e Amazon, perché sono prodotti di qualità per pochi e non mi va di regalare i soldi a una casa editrice esterna solo per la soddisfazione di vederlo 15 giorni nelle librerie. Copie numerate con dedica personale; sarebbe impensabile sul mercato.
Quindi attraverso quali canali vengono vendute?
Solo per posta. Basta contattarmi sui social… Facebook, Instagram, passa parola..
Qual è il pubblico di riferimento dei tuoi libri?
Un migliaio di persone anziane, miei ex lettori sul Mucchio, Rumore, Suono, Outsider, etc…
Prog Italia dedica la copertina e ovviamente ampio spazio del prossimo numero, il 27°, in uscita il 20 novembre, ai 45 anni di The Lamb Lies Down on Broadway e ovviamente al fondamentale libro di Mino Profumo.
“Il 20 novembre uscirà il 27° numero di Prog Italia, l’ultimo del 2019… nonostante l’assoluta situazione di disastro editoriale nelle edicole la rivista andrà avanti anche nel 2020, tranne casini non auspicabili… grazie a tutti La copertina è incentrata sul monumentale libro su The Lamb, edito dalla Rizzoli nella collana Lizard, diretta da Simone Romani, che ringraziamo anche per averci concesso le foto per l’articolo, ovviamente tratte dal libro…”
Dalla Redazione di Horizons Radio, oltre a “in bocca al lupo” alla storica e gloriosa testata, un invito a tutti i Genesissiani e gli amici del Prog italiani ad acquistare e abbonarsi in massa a Prog.
Dal titolo “Here It Comes Again”, questo nuovissimo album di Francesco Gazzara comprende arrangiamenti per pianoforte e orchestra di alcune preziose gemme dei Genesis dal ’71 agli anni 80 e presenta gli stessi musicisti del lavoro precedente più altri ospiti.
Ancora una volta l’artista Ugo Micheli ha fornito un acquerello per la copertina apribile (la parte anteriore è visibile qui).