Un viaggio attraverso le mille sensazioni che si sviluppano a un concerto di Steve Hackett, colte durante la notte estiva di Vigevano.
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Testo e foto di Giorgio Bellocci
Vigevano, Castello Sforzesco, ore 22.43. Da una ventina di minuti le zanzare locali hanno finito di “banchettare” sul pubblico di affezionati e entusiasti fan di Steve Hackett. Comprensivi (ogni anno con le zanzare e i concerti c’è sempre il solito problema) solo grazie alla magia che il loro idolo sa creare.
Molti, io tra loro, pensano che non ci sia spettacolo al mondo migliore che un concerto di Steve (e siamo qui a parlare di due tour italiani nello stesso anno!)
Ecco, ore 22.43, poco più di un’ora dall’inizio di una performance che ha visto fino a quel momento spiccare in scaletta due classici come Every Day e l’immancabile The Steppes, l’ipnotico strumentale da Defector (1980).
Poi tre perle dall’ultimo album, The Night Siren, El Niño, In the Skeleton Gallery e la trascinante Behind the Smoke. Ispirata, quest’ultima, dalla drammatica situazione dei popoli costretti da guerre e carestie a lasciare la propria terra. Come accaduto ai nonni di Steve (dalla Polonia). Testimonianza, se mai ve ne fosse bisogno, della grande attenzione che questo artista anagraficamente indirizzato verso “i 70” mostra nei confronti della realtà e della quotidianità.
Poi è la volta della celebrazione di Wind and Wuthering giunto al suo quarantennale: con Eleventh Earl of Mar, One for the Wine, e, alle 22.43, Blood on the Rooftops...
Ecco, in quel preciso momento, nel dipanarsi suggestivo e malinconico di uno dei più alti momenti della storia dei Genesis, il fan medio pensa che “sì, forse vale la pena ripetere a Steve in eterno la solita domanda sulla cosiddetta reunion…”. Da parte della stampa, naturalmente, in un ideale riverbero su Google del “tormentone” (Steve, disponibile come pochi e attento comunicatore, è protagonista di interviste in rete che crescono in rapporto ai tanti paesi nel mondo che ospitano i suoi show).
Inciso. Nelle scorse settimane è stato in tour anche Phil Collins (difficile non saperlo visto la giustificata eco mediatica data all’evento dopo i tanti guai fisici che avevano fatto pensare al peggio per il grande drummer). Una clamorosa caduta in hotel in piena notte alla vigilia di una delle prime date inglesi aveva non solo aggravato – sia pure temporaneamente – la già precaria condizione fisica di Phil; ma anche generato ironie e ilarità, secondo l’implacabile legge dei social.
Poi il tour è ripreso e, complici una band in gran forma e una scaletta “da urlo”, oggi viene considerato un gran successo. Sì, Phil Collins che oggi si esibisce seduto sul palco, frenato dagli acciacchi, e lontano dalla batteria dove ha fatto accomodare il figlio sedicenne (che se la cava piuttosto bene). Sì, Phil Collins che con Steve scrisse nel lontano 1976 quella gemma preziosa che è Blood on the Rooftops… Entrambi toccati dalla Grazia Divina in quei giorni.
Flashback. Legnano, 30 marzo, Teatro Galleria. Grazie alla collaborazione con Horizons Radio riesco a incontrare di persona, per un’intervista, il mio musicista preferito in assoluto (vedi sotto). La disponibilità e lo spessore umano di questo fuoriclasse della chitarra sono leggendari, ma corrispondenti alla realtà. Lo stesso dicasi per sua moglie Jo Lehmann, talentuosa manager e inesauribile “dinamo” della odierna carriera di Steve.
Che visto così da vicino mostra tutti gli anni che l’anagrafe gli assegna. Fisiologicamente il passo non è più spedito, e la “storica” miopia contribuisce alla sensazione generale. Detto ciò, già a Legnano nel corso del concerto avevo avuto modo di assistere al dipanarsi di una magia che solo il mondo artistico può regalare…
Di nuovo Vigevano. Chiusa la rivisitazione di Wind and Wuthering, è il momento di Dance on a Volcano: una scossa elettrica pervade la platea! La sontuosità e la perfezione del suono toccano lo zenit della serata (solo Firth of Fifth e Los Endos, nei bis, si avvicineranno per impatto). Se in generale Steve sul palco si trasforma, irrorando energia e carisma e facendosi beffe della carta d’identità, questo passaggio lo eleva a “soggetto” di un dipinto immortale che prende vita sul palco. Una potenza sonora, quella espressa dalla prima traccia di A Trick of a Tail, che neppure a mettere insieme il “Vasco” e il “Liga”, con rispetto, si potrebbe raggiungere…
Dance on a Volcano, moderna oggi come nel 1976, rappresenta idealmente il manifesto artistico di Steve: virtuosismo e gusto per la sperimentazione (dando i giusti meriti anche ai compagni di avventura di allora…).
Gusto per la sperimentazione che riemerge in una freschissima The Musical Box (sempre più “preistoria” genesisiana) e nel drammatico finale di Shadow of the Hierophant, da Voyage of the Acolyte.
Dance on a Volcano chiama a raccolta la magnifica band di Steve, ormai al livello di quella “fine anni 70-primi 80” guidata da Nick Magnus. Di quest’ultimo Roger King alle tastiere rappresenta ormai molto di più che un “degno successore” (parliamo di due incredibili e versatili talenti).
E se Gary O’Toole lascia il segno con un drumming potente e con l’eccellente performance vocale di Blood on the Rooftops, Nick Beggs al basso è letteralmente uno “spettacolo nello spettacolo”. Memorabile la performance con il basso a pedali suonato…con i pugni in Shadow of the Hierophant . A rendere selvaggio, al limite della violenza, l’arcano richiamo alla Natura che il brano propone.
Rob Townsend ai fiati è fondamentale per la rilettura sperimentale di molti brani. Infine Nad Sylvan, destinato a dividere in due i fans di Steve: tra chi lo apprezza e chi no come vocalist delle riproposte dei Genesis. E’ risaputo che Nad vive in un mondo un po’ suo, personaggio originale anche come “body language“. Ma è inserito alla perfezione nella band, e questo si percepisce a pelle. Tocca anche momenti altissimi come nei finali di Afterglow e The Musical Box, mentre la sua performance in Dance on a Volcano è semplicemente perfetta…
Dunque “il sogno continua“, come detto da Steve ai fan stravolti da Dance on a Volcano. Vale la pena che egli lo mantenga vivo lasciando nelle interviste anche qualche fragile speranza di reunion con i vecchi sodali (ultimamente cita molto Peter Gabriel come referente privilegiato).
Sognando e sognando il fan eccitato esce dal Castello di Vigevano pensando a quanto Steve si sia dato in oltre due ore di concerto. E sfoglia a memoria i pezzi oggi assenti, sognando di avere un’altra chance per sentirli: perle preziose come Ace of Wands, Clocks, Hammer in the Sand e – dai fasti con i Genesis – le già riproposte Fly on a Windshield, Watcher of the Skies e Entangled…
Giorgio Bellocci © RIPRODUZIONE RISERVATA
Steve Hackett ha raccontato nel suo blog le giornate italiane nelle tappe del Genesis Revisited & Hackett Classics 2017 tour.
Leggi il Blog di Steve – CLICCA QUI
Ed ecco un commento a caldo di Steve:
“The Italian tour has been a joy… Wonderful weather, beautiful old towns, spectacular scenery, incredible beaches and amazing crowds… Great to have Mum join us all in Pescara too! Thank you Vania, Sergio and all the team for a fabulous tour… Warmest wishes to all, Steve” (dalla pagina Facebook)
L‘intervista di Giorgio Bellocci a Steve Hackett prima del live applauditissimo a Legnano (Milano) il 30 marzo 2017. GUARDA:
Leggi anche l’intervista esclusiva a Jo, l’altra metà di Steve:
Ecco i video dai concerti postati sui social:
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