GENESIS – Reggio Emilia 1973 – 2 vinili – Clicca sull’immagine e vedi se ci sono ancora copie disponibili.
Il 20 gennaio 1973 inizia a Reggio Emilia la parte italiana del Foxtrot Tour dei Genesis (seconda data il 22 a Roma – GUARDA). Ecco note e immagini di quella serata.
La prima famosissima foto del terzo sbarco nella penisola dei Genesis, dopo le due dell’anno precedente è questa, al Circolo Cral dell‘Aeroporto di Linate a Milano, in una conferenza stampa insieme ai Lindisfarne, appena arrivati in Italia. Eccola:
Il concerto fa parte del Charisma Festival, come la successiva data di Roma – sul palco con i Genesis altre band, con una variazione di date all’ultimo minuto come si vede dalla locandina qui sopra -. Ed ecco quella “giusta”:
Ora la registrazione del concerto:
00:00 – Watcher Of The Skies; 11:53 – The Musical Box; 23:28 – The Fountain Of Salmacis; 33:20 – Get ‘Em Out By Friday; 44:13 – Supper’s Ready; 01:09:55 – The Return Of The Giant Hogweed; 01:21:28 – The Knife.
Uno sguardo ai costumi di Peter. Per Watcher Of The Skies non ha ancora adottato le ali da pipistrello, ma si presenta in scena cosi:
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Sul finale di The Musical Box, poi, il colpo di scena. Peter appare conil vestito da donna rosso della moglie Jill e lamaschera da volpe.
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Un momento storico, questo, per i Genesis, inaugurato il 28 settembre dell’anno precedente a Dublino, inizio di un’era di maschere e travestimenti, anche se non completamente condivisi dagli altri membri della band.
Anche in Supper’s Ready non sono ancora comparsi i famosissimi costumi. Peter li inserirà tra un mese nella parte inglese del tour. In Italia, alla fine di Apocalipse in 9/8 si presenta così:
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Per il bis, The Knife, torna il vestito nero, ma senza il giro di gioielli intorno al collo:
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Non sono disponibili registrazioni video di questi concerti. Ma l’effetto scenico dei Genesis lo si può vedere nel filmato di dieci giorni prima al Bataclan di Parigi. Eccolo:
Ed ecco il Tour Programme:
Concerto mirabilmente e dettagliatamente ricostruito da:
“Il pubblico italiano ha l’opportunità non solo di assistere ad una performance di alto livello tecnico, ma anche di essere testimone dell’inesorabile cammino della band verso una proposta musical/teatrale che troverà il suo compimento negli anni immediatamente successivi”.
“Il successo è senza precedenti, con 8mila persone presenti a Reggio Emilia in una sala al limite della capienza e addirittura 18mila a Roma, quando in patria sono soliti suonare davanti a poche centinaia di spettatori.”
Tra i luoghi fondamentali per Peter Gabriel ci sono la città di Bath e i suoi dintorni, in Somerset, UK.
Bath dal sito web Bath Echo
Un posto che, da iniziale buen retiro, per meditare a distanza su certi eventi, come vedremo, è stato fonte di ispirazione e sperimentazione fino alla creazione della struttura della sua Real World.
Peter si stabilisce nella prima abitazione della sua storia con la città a Woolley Mill, nell’omonima valle, nei pressi di Bath, con Jill incinta; la figlia Anna-Marie nascerà dopo un parto difficilissimo il 26 luglio 1974.
Siamo nel periodo successivo al tour di “Selling England By The Pound” e alla vigilia delle burrascose sessioni di composizione, registrazione e relativa tournée di “The Lamb Lies Down On Broadway”.
Dopo essere uscito dalla band, Gabriel si dedica qui ai suoi passatempi preferiti del momento: la campagna e la famiglia. A Bath, sempre secondo Easlea, si confonde con la comunità locale, e si prende «due anni per crescere i cavoli e i figli».
Come riporta Mario Giammetti…
…Peter ha raccontato ad Armando Gallo su Ciao 2001 nell’aprile 1976: «Per almeno sei mesi dopo la mia uscita dai Genesis ho frequentato gente non collegata con il mondo musicale, gente che non sapeva nemmeno dell’esistenza di un complesso chiamato Genesis».
A Bath Peter sperimenta stili di vita alternativi, medita di entrare in una comune (una delle quali si chiama Genesis), assume qualche droga, senza eccessi. Si presenta anche sul palco degli amici Stackridge al Friars Aylesbury, uscendo da una torta di compleanno.
Gabriel ritiene l’antica città termale romana di Bath un ottimo conduttore di energia, che presto lo porterà a iniziare a comporre nuova musica.
E tra le nuove esperienze ce n’è una mistica del cantante sulla collina di Solsbury, che sovrasta la città.
Little Solsbury Hill dal sito web Kids of Bath
Come scrive Davide Castellini…
…«La collina di Solsbury è uno spazio fisico reale, un monticello nei pressi di Bath (…). Ma è anche un luogo metaforico da dove si possono osservare le “luci della città” – la realtà presente e nel contempo avere uno sprazzo dell’incerto futuro che si prospetta – l’aquila che spicca il suo volo nella notte scura».
Emozioni che saranno di grande ispirazione per il suo primo singolo da solista “Solsbury Hill”, in cui spiega anche i motivi dell’abbandono dei Genesis, brano che ha anticipato nel febbraio del 1977 l’uscita del primo album.
Gabriel ha quindi trovato un luogo stimolante in cui far fiorire le nuove idee. In questo contesto creativo, inizia a organizzare il suo studio di registrazione casalingo, che presto sarà frequentato da spiriti a lui affini. I primi demo per il nuovo disco vengono proprio dal pianoforte di Woolley Mill.
Ma non sempre Bath ha portato fortuna a Peter. Come lo sciagurato primo Festival WOMAD del 16 luglio 1982, che si tiene proprio vicino casa di Gabriel, ma ciò non garantisce il successo, anzi.
Siamo nel West Country, fuori Shepton Mallet, nello stesso campo in cui i Led Zeppelin parteciparono al secondo Bath Festival nel 1970.
L’intero evento presenta enormi sfide: il pubblico è in estasi ma la vendita dei biglietti è pessima, il tempo è brutto, la BBC si è ritirata nonostante avesse promesso una trasmissione televisiva e uno sciopero dei treni ha tenuto lontane le persone.
Le limitazioni imposte dalle autorità locali fanno ricadere su Peter le spese degli artisti internazionali invitati. Peter e Jill ricevono addirittura minacce di morte da persone a cui devono dei soldi.
«È diventata un’esperienza da incubo quando ci siamo resi conto che non c’era modo di ottenere la vendita dei biglietti per coprire i nostri costi», ha detto Peter al Guardian nel 2012.
Nel frattempo, la famiglia Gabriel si è trasferita ad Ashcombe House a Swainswick, nord-est di Bath.
Peter ha affittato la proprietà nel 1978 e ha convertito il fienile della casa nel suo studio.
In questo video è possibile assistere a diversi momenti (familiari e artistici) della sua vita ad Ashcombe House:
Ad Ashcombe House Peter ha anche lavorato alla sceneggiatura del film su “The Lamb Lies Down On Broadway”, con il regista cileno Alejandro Jodorowsky. Due mesi di lavoro ritenuti da Gabriel molto interessanti, ma il progetto non va a buon fine.
Va meglio dal punto di vista musicale. Nello studio ex fienile, Peter compone le canzoni del terzo album con il proprio nome (soprannominato anche Melt), del 1980, e vi registra il successivo del 1982 (o Security), la colonna sonora del film “Birdy”, tra l’ottobre e il dicembre 1984 e “So”, pubblicato nel 1986.
Non solo: il brano “My Secret Place” dell’album “Chalk Mark in a Rain Storm” di Joni Mitchell viene registrato ad Ashcombe House nel 1986, così come parti dell’album Robbie Robertson del 1987 (anche se i crediti di copertina collocano erroneamente Ashcombe House a Londra).
Nel 1986, finito l’album So, Peter decide che è il momento di trasferirsi da Ashcombe House a una struttura di registrazione permanente. La cosa più importante per Gabriel è essere vicino all’acqua. Prende in considerazione diversi siti, per lo più vecchi mulini, rigorosamente nella zona di Bath.
Ma nel mese di ottobre del 1987 Peter e Jill si separano definitivamente. Divorzieranno nel marzo 1988. Fortunatamente la ex moglie e le bambine non andranno a stare lontano da Bath e così Peter può vedere le figlie ogni giovedì sera e ogni due weekend. In questo periodo Peter inizia la relazione con Rosanna Arquette, conosciuta proprio durante la reunion di Milton Keynes.
Il Box Mill (noto anche come Pinchin’s Mill) è un mulino ad acqua sul By Brook, antico di 200 anni nel Wiltshire. Nel 1864 faceva parte della Box Brewery di proprietà della famiglia Pinchin, che in quell’anno chiuse la loro Northgate Brewery a Pulteney Bridge a Bath.
Nel 1987 Gabriel lo acquista, lo sistema e aggiunge un altro edificio (“The Big Room”).
Peter si mette al lavoro per trasformare il pittoresco gruppo di edifici in un complesso live e studio, completo di spazio residenziale per artisti, una stanza in cui scrivere e una grande sala di controllo, piena di luce naturale.
Ora il sito ha le dimensioni e lo spazio necessari, è vicino al fiume, come voleva Peter, è in una bellissima zona ed è accessibile da Londra, con Bath a 120 miglia (200 km) di distanza, un’ora e mezzo di treno.
Il primo album a essere registrato qui è la colonna sonora del film “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese, che inaugurerà anche la neonata etichetta Real World, con il titolo “Passion” nel 1989.
E proprio qui, negli studi della sua etichetta, nel 1997, nasce per Gabriel un nuovo amore. Lei è Meabh Flynn, ingegnere e pianista, che lavora alla Real World dalla metà degli anni Novanta. È di 22 anni più giovane di lui. La sposa nel 2002. Il 27 settembre 2001 era nato Isaac Ralph, seguito da Luc nel 2008.
Peter mantiene anche buoni rapporti con Jill, che ora lavora come consulente e psicoterapeuta a Bath.
E, tra le tante iniziative che lo vedono prendere posizione in tutto il mondo, trova il modo di pensare anche al “suo” angolo di Inghilterra.
Nel maggio 2010 si è unito a una campagna per fermare lo sviluppo agricolo proprio nella valle di Woolley. Un’azienda agricola aveva pianificato di allevare intensamente polli. Gabriel è entrato a far parte del Save Woolley Valley Action Group per fermare il progetto.
Per preservare la valle che ha ospitato la sua prima casa di Bath e che ha ispirato il suo primo singolo da solista, “Solsbury Hill”.
È il primo Festival di Reading in assoluto, che si tiene nei pressi del Tamigi a Richfield Avenue tra venerdì 25 giugno e domenica 27 giugno 1971. Tra gli artisti oltre ai Genesis, Lindisfarne e Wishbone Ash.
Il Reading Festival ebbe origine da un festival annuale di Jazz e Blues organizzato dalla National Jazz Federation e dal Marquee Club di Londra nel 1961.
Il primo Festival di Reading ebbe luogo nel 1971, appunto, quando il promotore Harold Pendleton mise in scena l’evento come parte delle celebrazioni per l’850° anniversario della fondazione dell’Abbazia di Reading.
Per approfondire:
Dal 1980 il festival ha raggiunto una reputazione internazionale, annoverando i più grandi nomi della musica rock.
La fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 hanno visto dei cambiamenti nella scena musicale contemporanea con nuovi suoni indie e dance cross-over.
Quasi 90.000 fan della musica invadono Reading ogni Bank Holiday di agosto, rendendo la città un nome riconosciuto a livello internazionale sulla scena musicale.
È diventato una parte importante della vita di Reading e alla fine del 2004 il Reading Museum ha organizzato una grande mostra retrospettiva chiamata ‘Music, Mud and Mayhem’, che racconta i 30 anni di storia del festival.
I Genesis hanno partecipato varie volte al Festival di Reading. Ecco le registrazioni.
Durante il Nursery Cryme Tour l’11 agosto 1972:
https://www.youtube.com/watch?v=XEPDfHsKCh8
Il 26 agosto 1973:
https://www.youtube.com/watch?v=Y-BD0KXRA64&t=9s
Il 26 agosto del 1979, Phil Collins raggiunge Peter Gabriel al Reading Festival ed esegue con lui The Lamb Lies Down on Broadway:
Biko:
White Shadow:
No Self Control:
Mother of Violence:
Ed ecco le partecipazioni di Steve Hackett:
https://www.youtube.com/watch?v=il2jy6j3zvk
I brani eseguiti da Steve Hackett a Reading nel 1981 sono contenuti nell’album “Premonitions – The Charisma Recordings 1975-1983”.
«Era pieno inverno e non c’era quasi nessuno a bordo. (…)
Eravamo ancora solo noi sette in viaggio insieme, a guardare gli eserciti di crew che le band impiegano al giorno d’oggi sembra ridicolmente piccolo.
Era una traversata di quattro ore e ci annoiavamo a morte perché lì
non c’era niente da fare. Ho trovato questa scatola con dentro dei salvagenti,
e così tutti noi abbiamo indossato i nostri gilet e abbiamo posato per quello che ora è diventata una famosa foto dei Genesis, tutti noi con i capelli sciolti sulle nostre spalle, Mike che beve da una bottiglietta di Mateus Rosé
perché è quello che si beveva a quei tempi, quello o Liebfraumilch.
(…) Oggi quando si va all’estero si ha la navigazione satellitare
che ti dice esattamente dove andare e i telefoni cellulari o
con le mappe, ma non avevo davvero idea di dove fossimo diretti in Belgio. Non avevo nemmeno una mappa pieghevole.
(…) Il posto, un club chiamato Ferme V, era pieno zeppo fino al tetto, ma i fan conoscevano ogni nota. È stato incredibile. Mentre in Inghilterra è stato un processo molto lento, in Belgio è successo all’improvviso, come un minorenne
esplosione per quanto ci riguardava.
Un’altra cosa che ricordo è che abbiamo soggiornato in un hotel a tre stelle, molto confortevole, e che Peter ha condiviso una stanza con me perché non sopportava di condividerla con Tony mai più, non dopo le sue esperienze al cottage.»
«Philippe Grombeer (futuro direttore artistico dei maggiori teatri belgi) è un membro del “Club delle Aquile”, ed ha affittato, per conto dell’amministrazione comunale, un’azienda agricola a Woluwe-Saint-Lambert (un sobborgo di Bruxelles), la “FERME V”. Lo spazio non è grande, l’interno è vetusto, ma che importa!» – CONTINUA SU GENESIS PLACES
«5 baldi giovani musicisti tengono il loro primo concerto oltre confine… Hanno alle spalle un primo album fallimentare e un secondo (l’ultimo) che qualcosa ha venducchiato, soprattutto proprio là dove stanno andando a suonare)…» – CONTINUA SU:
«Alcuni privilegiati li hanno visti in tutta intimità e hanno condiviso tutto con loro. E a ragione: il Belgio è stato il primo paese straniero in cui i Genesis hanno messo piede.» – CONTINUA SU NOSTALGIE
«Come tutte le superstar prima di avere successo, hanno dormito in hotel schifosi, torbide stanze nel retro di pub fumosi, sperduti nella campagna. Ma la fortuna sorride sempre a chi ha talento.» – SCOPRI DI PIU’ SU FACEBOOK GABRIEL’S ANGELS
Il 16 marzo 1991 veniva chiuso nella redazione virtuale di Dusk il numero zero di una gloriosa fanzine (poi trasformatasi in rivista patinata) che, unica al mondo, resiste a tutt’oggi in forma stampata.
Per festeggiare questo incredibile anniversario, oltre al numero speciale riservato ai soli associati a cui stanno lavorando, l’ideatore e Direttore Mario Giammetti e il suo gruppo di lavoro hanno chiesto ai componenti dei Genesis di condividere la gioia con loro.
Mario Giammetti racconta a Horizons Genesis i 30 anni di Dusk.
– Quando e perché hai avuto l’idea di una pubblicazione dedicata ai Genesis?
Nel 1990 andai a trovare Anthony Phillips, che mai nessuno in Italia, che io sappia, aveva intervistato. Parlammo oltre un’ora ma Ciao 2001, a cui all’epoca collaboravo, mi concesse solo tre o quattro cartelle, per un risultato di due pagine. E il resto, mi chiesi? Un mio amico di penna dell’epoca mi disse: perché non stampi l’intervista integrale e la vendi agli appassionati? La cosa mi sembrava poco fattibile, però mi fece venire in mente che, forse, c’erano diverse persone interessate ad avere più notizie sul mondo dei Genesis. All’epoca soltanto Ciao 2001 e Rockstar ne parlavano, ma ovviamente solo in occasione di nuovi album. Inoltre in quel periodo c’erano fanzine dedicate ad artisti, a mio giudizio, assai meno importanti dei Genesis, così decisi di provare, per puro divertimento: avendo già alle spalle un libro (“Genesis Story”, Gammalibri 1988) e tre anni di articoli sul Ciao, feci il salto dall’altra parte della barricata per curiosità realizzando un numero zero fotocopiato che spedii in cambio di un francobollo.
– Oltre a Dusk, quali altri nomi hai preso in considerazione?
Nessuno, in realtà. Quando pensai al nome, mi dissi che doveva essere breve e immediato. Dusk si prestava a tutto ciò. Inoltre, la sua traduzione nascondeva anche un significato recondito: crepuscolo, tramonto. Il che assecondava la mia idea di essere sempre obiettivi, senza mai farsi accecare dalla visione da fan. Arrivando ad ammettere, se necessario, anche il crepuscolo di un’avventura. Cosa che, però, non è mai avvenuta. Perlomeno, non del tutto.
– Quali sono state e quali continuano a essere le difficoltà di questa impresa?
La manovalanza, se così si può dire. Sebbene con l’aiuto imprescindibile di fantastici collaboratori, la gestione pratica ed economica (anche se da un paio di anni su quest’ultimo punto ricevo un consistente aiuto da Stefano Tucciarelli) continua a gravare esclusivamente sulle mie spalle. Questo è sicuramente positivo da una parte, perché non devo chiedere il permesso a nessuno sulle scelte che andrò a prendere, ma diventa davvero pesante quando si tratta poi di portare a compimento un numero. Mi riferisco alla realizzazione, sempre molto complicata, ma anche all’aspetto prettamente fisico: portare le buste e i pacchi agli uffici postali è spaventosamente faticoso. Sui disservizi postali, poi, meglio stendere un velo pietoso.
– Qual è stata la soddisfazione più grande di questi 30 anni?
Dal punto di vista personale, ovviamente conoscere, seppure a vario livello, i miei musicisti preferiti. Poi il fatto che, seppur raramente, talvolta ho ottenuto con Dusk cose che mi erano state negate in qualità di giornalista (più spesso, a onor del vero, è accaduto il contrario, ma ci sta). Ma la gioia più grande è avere il numero in mano, fresco di stampa. Succede da 30 anni ed è sempre un’emozione, anche se a volte si tramuta in delusione per qualche errore imprevisto di stampa o un lavoro tipografico non proprio impeccabile.
– Qual è stata l’intervista più difficile, che hai inseguito più a lungo?
Phil Collins. Dopo un breve incontro faccia a faccia a Perugia nel 1996, ho dovuto aspettare ben otto anni prima di potergli fare finalmente un’intervista come si deve, al Filaforum di Assago nel 2004. Esperienza poi replicata nel 2010 e, telefonicamente, nel 2016.
– Chi è il membro Genesis più intervistato e perché?
Sicuramente Steve Hackett, per due ragioni: primo, è di gran lunga il più attivo di tutti. Secondo, è anche incredibilmente disponibile e, oltretutto, molto attendibile e abbastanza preciso nei ricordi.
– Non ci pare, ma ti è sfuggito qualcuno della galassia Genesis da intervistare?
Peter Gabriel non ha ancora accettato un’intervista esclusiva. L’ho incontrato diverse volte e gli ho rivolto personalmente delle domande in conferenze stampa o roundtable (chiacchierate per un numero limitato di giornalisti, in genere otto), ma le mie infinite richieste per un faccia a faccia o una telefonica alle sue assistenti non hanno ancora dato esito favorevole. Per il resto, direi di aver intercettato davvero tutti, perlomeno quelli in vita. Compreso il più inaccessibile in assoluto: John Silver.
– Cosa ne pensano i Genesis di Dusk?
Sono sicuramente tutti riconoscenti per il lavoro che facciamo, consapevoli che questo genere di pubblicazioni servono a tenere accesa e alimentare la fiammella. C’è naturalmente il problema della lingua, per cui non possono leggere quello che scrivo anche se, a dire il vero, non credo che, a quelli grossi almeno, interesserebbe più di tanto. Tony Banks, per esempio, ha dichiarato più volte di non leggere recensioni né libri sulla band e che è stato costretto a farlo nel caso della biografia di Mike Rutherford (per poi pentirsene amaramente!). Steve Hackett è invece molto attento e interessato e, se gli mando la traduzione di un articolo, sicuramente la legge.
– Ti hanno mai chiesto (anche qualche membro dei Genesis) di tradurre in altre lingue gli articoli di Dusk?
Per alcuni anni è esistita una versione in inglese, fotocopiata, di Dusk, almeno di buona parte degli articoli compresi in ciascun numero. Poi però ho smesso: non ne valeva la pena perché gli abbonati stranieri sono sempre stati una sparuta minoranza. Non si contano invece le volte che qualcuno mi ha detto “se fosse in inglese, non perderei un numero di Dusk”. Sono quelli che poi hanno molto gradito il mio libro “Genesis 1967 To 1975: The Peter Gabriel Years”, pubblicato lo scorso anno dalla londinese Kingmaker.
– Visto che Dusk è l’unica pubblicazione su carta nel mondo sui Genesis, quali feedback hai dall’estero?
Torniamo al discorso lingua; chi non parla italiano, si concentra sull’impatto delle foto e sui contenuti e non è raro che qualche amico estero mi scriva chiedendomi maggiori informazioni su qualcosa che ha captato ma ovviamente non riesce a comprendere fino in fondo. Ma ci sono un manipolo di appassionati che ci seguono con fedeltà assoluta pur senza capire una sola frase: a loro basta guardare come è strutturato il giornale per comprendere che ne vale sempre la pena.
– Non sempre siete d’accordo con le scelte dei Genesis (vedi per esempio l’ultima reunion) o con la qualità e necessità di certe ristampe. E non vi censurate. Pensi che con il tempo possa cambiare questa linea editoriale?
Assolutamente no. Quando c’è stato da criticare, lo abbiamo sempre fatto, senza nessuna remora, in accordo all’editoriale del numero zero. Si può ovviamente non essere d’accordo, ma nessuno di certo ci può accusare di faziosità. Di tanto in tanto qualcuno mi definisce il fan numero uno dei Genesis, pensando di farmi un complimento, ma per me non lo è affatto: che adori la band è scontato, ma mi ritengo un giornalista prima e solo di rimbalzo un appassionato. Per questo uso, per gli album che recensisco su Dusk, il medesimo approccio critico che ho usato con il Ciao, Rockstar, Jam e che uso tuttora per Classic Rock: sincerità totale, senza sconti a nessuno.
– Qual è la critica più dura e l’elogio più bello da parte dei lettori?
Qualche lettore in passato ci ha definiti una sorta di fanclub di Steve Hackett, perché di lui si parla sempre più degli altri. Ma come potrebbe essere altrimenti, visto che pubblica il triplo di quello che producono tutti gli altri messi assieme? Qualche altro lettore ritiene che si dia troppo spazio a Anthony Phillips (dimenticando che è stato il fondatore e per un breve periodo addirittura il leader della band). Molti, infine, detestano e neanche cordialmente Ray Wilson. Una volta incontrai a un concerto un ex abbonato che, dopo essersi presentato, mi confidò candidamente che aveva smesso di seguirci perché non sopportava l’idea di vedere Ray sulle pagine di Dusk! Ma Ray è stato un membro dei Genesis, per i quali ha cantato in un disco e un tour. Come tale, ha esattamente gli stessi diritti degli altri membri anche se, ovviamente, non detiene il medesimo palmares artistico.
Tra gli elogi, prima di tutto la costanza; molti lettori sono quasi increduli di fronte a tanta perseveranza e vedono Dusk come un amico di famiglia che va a trovarli a casa ogni quattro mesi. Molto apprezzata anche l’onestà intellettuale e l’attitudine a scrivere sempre senza filtri, qualcosa di non così frequente nel mondo dei cosiddetti fanclub (categoria nella quale Dusk, peraltro, non rientra), dove spesso si è succubi degli artisti: posso dire con orgoglio che non è mai accaduto e che se qualche errore è stato commesso, ed è successo, è stato semmai per affetto, non certo per opportunismo.
– Per i prossimi anni prevedi anche uno sviluppo sul web più consistente dell’attuale o resti fedele al valore del cartaceo?
Riconosco l’importanza del web, ma non fa per me. Quando Dusk cesserà le pubblicazioni cartacee, resterà solo un bel ricordo, al massimo il sito web minimale così come è oggi.
Grazie a Mario Giammetti, buon compleanno e in bocca al lupo per i prossimi, tantissimi, anni di Dusk.
“Le canzoni ci vengono come ai vecchi tempi, ed è roba buona. Abbiamo pronta Dance on a Volcano. Seguono Squonk e Los Endos, per l’album che sarà intitolato A Trick of the Tail.”
Il tutto mentre il Melody Maker butta la bomba: “Peter Gabriel esce dai Genesis”. La notizia è trapelata prima che loro avessero il tempo di rior-
ganizzarsi. Così, nell’ambiente musicale gira voce che i Genesis sono finiti.
“Comporre A Trick of the Tail è stato come l’inizio di un nuovo capitolo emozionante. Non avrei voluto che Peter se ne andasse, ma sapevo che ci sarebbe stato un cambiamento”, racconta Mike Rutherford nella sua autobiografia.
“Ora che se n’era andato ci siamo sentiti come una nuova band – racconta Mike -. Sembra strano da dire ora, ma la voce di Phil non era come sarebbe diventata. Stratton-Smith diceva che Phil sembrava più Pete di Pete, ma in realtà le loro voci non erano affatto simili. Sembrava così solo se stavano cantando la stessa canzone, la stessa melodia in stile Genesis.
“Spesso mi sembra che la vita nei Genesis sia divisa in due metà – gli anni di Pete e gli anni di Phil. Durante gli anni di Pete eravamo come bambini di scuola. È cambiato tutto quando Pete se n’è andato – continua Mike -. La partenza di Pete ci aveva fatto crescere un po’ come persone, anche se per Tony e me significava anche imparare a rilassarsi un po’.”
Ma i quattro non si danno per vinti. Ogni settimana fanno il provino a potenziali cantanti. Phil insegna loro le parti vocali, cantando con loro. Firth of Fifth, The Knife, brani difficili per qualsiasi aspirante frontman.
I Genesis fanno provini per cinque o sei settimane. Vedono una trentina di ragazzi. Ma il tempo che passa rapidamente, si parla già di un altro tour, bisogna andare in studio di registrazione.
Ma quando i brani sono registrati e non c’è ancora nessun cantante, il tempo stringe. Mick Strickland è un po’ più bravo degli altri e i Genesis gli chiedono di andare ai Trident per provare. “Gli diamo da cantare Squonk – ricorda Phil -. Il primo verso di quel cantato è bastardissimo: «Like father, like son…». Tale padre, tale figlio… Non gli chiediamo la sua tonalità o la sua estensione. Gliela diamo e basta. Attacca! Poveretto. Non è neanche lontanamente la sua tonalità. Ci tocca dirgli: «Grazie e arrivederci…». A ripensarci ora, mi sento in colpa per Mick.”
Intanto le ore in studio si stanno accumulando. “Allora dico: «Che ne pensate se ci provo io?» – continua Phil-. E i ragazzi fanno spallucce: «Tanto vale».Dentro di me so che posso riuscirci, ma cantarlo sul serio è tutta un’altra cosa. A volte il cervello dice di sì, ma la voce urla «No!».
Ma Phil ci prova. “Mike e Tony in seguito mi diranno che è come uno di quei momenti dei cartoni animati in cui si accende la lampadina. Si guardano in cabina di regia e le sopracciglia dicono tutto: «Accidenti, è perfetto!».”
Un momento decisivo per Collins.
Dopo aver esplorato ogni altro punto di vista, sembra che quella del batterista che si mette davanti al microfono sia la scelta definitiva. Phil è combattuto, soprattutto perché gli piace suonare la batteria. “Ecco il mio punto dolente – rivela –. Eppure non si può negare la verità: so cantare quelle canzoni.”
Ora il nodo da sciogliere è l’imminente tour.
“Badate bene, io non ero ancora intenzionato ad andare sul palco a cantare da frontman – racconta Phil -. Sul palco sarà tutta un’altra cosa. Quindi, in realtà, siamo ancora senza cantante.
“Il canto era una cosa, ma il vero problema per me era se Phil avrebbe accettato di essere il nostro frontman – ammette Mike Rutherford. I batteristi
generalmente tendono a pensare che i cantanti siano la ciliegina sulla
torta, e non proprio dello stesso calibro di musicista di tutti gli altri della band.”
Per la prima volta i Genesis realizzano tre videoclip delle loro canzoni. Due li abbiamo già visti sopra. Ecco il terzo:
Il primo concerto dei Genesis con Phil Collins come cantante si è svolto alla London Arena di London nell’Ontario, in Canada, il 26 marzo 1976.
C’erano 2.200 fan alla vecchia arena di Bathurst Street per il debutto di Collins come frontman.
Eugenio Delmale racconta A Trick of the Outtakes, ovvero quando i Genesis non avevano ancora scelto il nuovo cantante, al posto di Peter Gabriel, nel 1975 (in italiano).
Guarda le versioni rimasterizzate di A Trick of the Tail. Clicca qui
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Ed ecco una playlist di Horizons Radio da YouTube dedicata a A Trick Of The Tail:
50 anni fa, il 14 gennaio 1971 Steve Hackett esordisce in concerto con i Genesis, all’University College di Londra. Ecco il racconto di quei giorni movimentati.
Da genesisfan.net
By D.B.
Come abbiamo visto (LEGGI LO SPECIALE DI HORIZONS RADIO SU QUEI GIORNI), la band è stata vicinissima a sciogliersi, perché Anthony Phillips ha lasciato i compagni d’avventura e loro hanno deciso di sostituire anche John Mayhew, l’attuale batterista.
I Genesis hanno già ingaggiato Phil Collins alla batteria – LEGGI –, ora devono trovare un valido sostituto alla chitarra.
Hanno già provato in concerto sia Ronnie Caryl, grande amico di Phil (ha fatto l’audizione con lui –LEGGI) e chitarrista dei Flaming Youth, che Mick Barnard, membro dei Farm, ma entrambi non hanno convinto gli esigenti membri della band.
Dopo l’addio di Anthony Phillips – LEGGI e poi con l’arrivo di Phil, i Genesis hanno quindi continuato come quartetto, con Tony che suonava tutte le parti di chitarra su un piano elettrico Hohner filtrato con un fuzz box. La ricerca continua.
Il 14 dicembre, scorrendo il Melody Maker, Peter viene incuriosito dall’insolito annuncio di un certo Steve. Eccolo:
«Mike aveva fatto audizioni per lungo tempo, ma io e Peter ci convincemmo che stava cercando di trovare qualcuno che suonasse proprio come Ant, il che era ovviamente impossibile. Così andammo noi due a sentire Steve. Era veramente in gamba, a guardarlo sembrava uno dei tanti, invece sapeva comporre, sperimentare, non era il classico chitarrista scalmanato».
E ricorda Steve nello stesso preziosissimo libro di Giammetti:
«Suonavo un po’ alla Jimmy Page, con assolo veloci che mal si sposavano alla delicatezza delleloro canzoni. I primi tempi furono davvero difficili».
E così si arriva a quel 14 gennaio 1971, quando all’University College di Londra, Steve Hackett fa il suo esordio in concerto con i Genesis. Ma non sarà un momento facile.
“Il primo concerto per me è stato un disastro. Fino ad allora avevo usato un fuzzbox preso in prestito o il Marshall Superfuzz di Tony. Quindi tutto ha funzionato bene, ma quella sera mi hanno dato uno Shaftesbury Duo Fuzz che è un grande fuzzbox. Non riuscivo ad avere un Marshall Superfuzz e pensai, ‘Oh, questo suona bene’.
E quando abbiamo fatto il sound check sembrava tutto a posto, ma ovviamente quando tutti stavano suonando, era molto più forte e il ritorno un disastro. Mi sono scoraggiato e ho dimenticato tutte le mie parti. Mi ricordo di una lite accesa dopo lo spettacolo e pensavo che fosse tutta colpa mia.
Col senno di poi, non lo era. Quello fu il mio momento più imbarazzante sul palco, essere sul palco con musica profondamente arrangiata e con la totale incapacità di ricordare una nota, perché non potevo controllare il mio suono. Non è un buon inizio, ho pensato.”
Racconta Steve a TWR #33 riportato da genesis-movement.org:
“E’ stato un concerto spaventoso… un’esperienza non piacevole… ci sono stati molti errori ed io avevo una fuzz box che stavo provando da settimane e improvvisamente quella sera ho dovuto utilizzarne una diversa ed era come… era la differenza tra un amatore e un professionista e con questa fuzz box e il suo feedback io ho suonato male per tutto lo show e ho pensato di aver sbagliato tutto e che sarebbe stato l’ultimo concerto con loro.”
“Come avremmo scoperto negli anni, Phil aveva la grande capacità di bere tanto senza darlo a vedere. Al primo concerto di Steve – University College London, gennaio 1971 – si verificò un’eccezione. Ci eravamo fatti qualche pinta ma nessuno si era accorto che Phil se n’era scolata qualcuna in più degli altri ed era sbronzo. Phil era un batterista così in gamba che poteva fare praticamente di tutto, ma quella sera si preparò per una delle sue grandi rullate e non successe niente. Silenzio. L’aveva eseguita alla perfezione, peccato che fosse spostato di venti centimetri da ciascun pezzo della batteria.
Povero Steve: era il suo primo concerto, era nervoso e noi avevamo un batterista ubriaco. A fine serata io e Tony facemmo passare un brutto momento a Phil, il che a Phil non diede alcun disturbo, ma sfortunatamente Steve pensò che stessimo litigando per causa sua: lo odiavamo e volevamo sbatterlo fuori. Come sempre, a nessuno passò per la testa di mettere al corrente il nuovo arrivato su come stavano le cose.”
“Per la maggior parte dei casi i concerti sono condotti in modo piuttosto professionale: arriviamo, suoniamo e torniamo a casa. Fumiamo qualche canna, ma niente bagordi esagerati. L’unica volta che succede è a un concerto alla City University di Londra, il primo di Steve con i Genesis. Suoniamo più tardi del previsto, quindi passo il tempo scolandomi un po’ di birre Newcastle Brown. Quando saliamo sul palco sono completamente sconclusionato. Faccio tutti i fill giusti, ma otto centimetri più a destra di dove dovrei. Altro che air-guitar, questa è air-drums. E dopo sono pentito: «Cosa penserà il nuovo chitarrista? Il suo primo concerto e il batterista è ubriaco fradicio». È la prima volta che suono da ubriaco, e sarà anche l’ultima.”
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Ma Steve, nonostante le sue preoccupazioni, passa l’esame. E la conferma viene da Peter Gabriel, che dichiara, riportato nel libro di Giammetti sopra citato:
“Abbiamo avuto due chitarristi negli ultimi mesi ma questo spero sia quello definitivo, lo abbiamo trovato attraverso il Melody Maker e sembra essersi adattato benissimo”. (Peter Gabriei, Zig Zag n. 19, 5/71, «Genesis», anonimo).
Ecco cosa ne pensa oggi Anthony Phillips:
Steve diventerà una colonna dei Genesis, nella formazione che molti considerano “quella vera” e oltre. Fino al clamoroso addio.
Indovina il collegamento QUESTA VOLTA FACILISSIMO tra queste sette canzoni (la soluzione è dopo i brani). Non vuoi indovinare? Allora ASCOLTA IL PODCAST (in italiano) – CLICCA QUI.
Controlla se hai indovinato:
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1) Genesis “Home by the Sea” (1983). Il testo della canzone in realtà è ben poco estivo e attinente al mare: parla di un ladro, che irrompe in una casa solo per scoprire che è infestata. Il ladro viene catturato dai fantasmi, che lo costringono ad ascoltare le loro storie per il resto della sua vita.
2) Peter Gabriel “Red Rain” (1986). Anche in questo caso il mare è piuttosto inquietante. Il testo infatti è stato ispirato da un sogno ricorrente in cui Gabriel nuotava in un mare di acqua rossa. Gabriel ha spiegato alla rivista “Mojo”, nel settembre 2013: “Red Rain” è stata scritta dopo un sogno che avevo fatto in cui il mare era diviso da due pareti. C’erano queste figure di vetro, che si avvitavano in ogni parete, si riempivano di sangue rosso e poi venivano calate sulla sabbia, dove scaricavano il sangue. Facevo questi sogni estremamente vividi, che mi spaventavano a morte”.
3) Mike + The Mechanics “Beggar on a Beach of Gold” (1995). La spiaggia è una metafora, sottolineata anche dalla copertina, in cui Mike è seduto a piedi nudi su di una distesa di monete d’oro. Come a voler dire che si tratta di apprezzare ciò che abbiamo qui e ora e non cercare comunque ciò che non possiamo ottenere. Apprezzare quello che abbiamo, anche le piccole cose.
4) Phil Collins “Too Many Fish in the Sea” (2010). È una canzone di successo del 1964 registrata dal gruppo canoro Motown The Marvelettes. È stata la prima hit del gruppo, nella top 40 per quasi un anno, raggiungendo il numero 25 della Billboard Hot 100. La canzone è stata uno dei primi singoli di successo scritti da Norman Whitfield ed Eddie Holland. È stato anche il primo singolo prodotto da Whitfield. Nel 2010 Phil Collins l’ha inserita in “Going Back”, suo ottavo album solista in studio, con cover della Motown degli anni ’60 e degli standard soul. “Too Many Fish in the Sea”, è stata data in omaggio in anteprima ai nuovi utenti iscritti al sito web di Phil rinnovato. Poi ha fatto parte dei bonus tracks del DVD e di “The Essential Going Back”, una riedizione uscita il 10 giugno 2016. Anche qui i pesci del titolo sono una metafora.
5) Ray Wilson “Song for a Friend” (2016). Nel brano Ray si lascia andare ai ricordi: “Se guardate laggiù, è lì che sono nato”. La canzone si basa su semplici flash di memorie su sua madre: “Era proprio la migliore mamma del mondo”, che viene paragonata alla fresca e limpida aria del mare.
6) Steve Hackett “Loving Sea” (2015). L’ha spiegata Steve in questo video, pubblicato il 26 luglio 2020:
7) Anthony Phillips “The Sea and the Armadillo” (1984). Fa parte dell’album “Private Parts and Pieces IV: A Catch at the Tables”, nono lavoro in studio di Ant e quarto capitolo della sua serie “Private Parts & Pieces”. Il brano è strumentale. Nell’album, tra mare e lago (“Down Over The Lake”), l’acqua è molto presente, anche nella copertina:
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